Crediamo fortemente nel potenziale intrinseco degli individui e nelle loro capacità di ripresa e rinnovamento. A partire da questa premessa, sviluppiamo soluzioni innovative, di alto valore tecnologico, per la promozione del benessere e per la cura della persona in ambito psicologico. Con i nostri prodotti tecnologici e protocolli di trattamento innovativi puntiamo ad avere un impatto sociale significativo, con ricadute positive non solo sul singolo ma anche sulla collettività.
I nostri ServiziProgettiamo e sviluppiamo prodotti tecnologici e protocolli di cura evidence-based che si propongono di favorire l'efficacia degli interventi terapeutici e lo sviluppo del potenziale degli individui.
Tutti i servizi che eroghiamo sono strettamente connessi alla nostra attività di ricerca, fondamentale per migliorare costantemente i nostri servizi e, per il continuo sviluppo di prodotti innovativi finalizzati alla cura e alla promozione del benessere e della salute della persona, del gruppo e della famiglia.
Offriamo servizi di formazione e supervisione per i professionisti che vogliono integrare al loro interno l'utilizzo di strumentazioni tecnologiche e protocolli innovativi, orientati alla stimolazione dei fattori protettivi, per la cura delle dipendenze, della depressione, per la gestione dello stress e del dolore, come la neurostimolazione o l’uso di protocolli con Brain Computer Interface. Ogni percorso viene pensato e costruito ad hoc in base alla tipologia di trattamento e al disturbo.
Organizziamo corsi di formazione specialistici rivolti agli operatori dei settori in cui operiamo e alle aziende, anche finanziati e/o in convenzione con Università. Fondazioni, Enti pubblici/privati, Studi medici e Associazioni, site nel territorio italiano e all'estero.
Progettiamo percorsi di formazione finalizzati all'utilizzo dei nostri protocolli di trattamento innovativi. La finalità è quella di costruire una rete di professionisti che possa operare insieme, diventando così un punto di riferimento rispetto ai differenti territori e contesti sociali.
Abbiamo attivi percorsi di supervisione.
Founder e CEO
[email protected]
Dottore di ricerca in Psicologia, Psicoterapeuta Strategico e Ipnotista ericksoniano.
Dal 2005 insegna presso l'Università degli studi di Pavia “Psicologia Generale” e “Informatica”. Ha insegnato, presso la stessa Università, “Psicologia della comunicazione” e “Psicologia Sociale”.
Founder e CEO
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Dottore di ricerca in Psicologia, Psicoterapeuta Strategico e Ipnotista ericksoniano.
Dal 2005 insegna presso l'Università degli studi di Pavia “Psicologia Generale” e “Informatica”. Ha insegnato, presso la stessa Università, “Psicologia della comunicazione” e “Psicologia Sociale”.
È autore di libri e articoli scientifici anche di livello internazionale su diversi argomenti come le dipendenze patologiche, la resilienza e l'uso delle nuove tecnologie a scopo terapeutico, nonché di lavori metodologici sulla validazione di strumenti di valutazione e sulle reti neurali.
È stato Direttore Scientifico presso una Fondazione che si occupa di dipendenze patologiche. Attualmente è fondatore e direttore Scientifico della NOAH srl, che ha come oggetto sociale la cura e il benessere delle persone con l'uso di strumenti innovativi affiancati a strumenti tradizionali come l'ipnosi e la psicoterapia.
Dal 2005 pratica attività come psicoterapeuta e ipnoterapeuta e da diversi anni utilizza strumenti innovativi, come la neuro stimolazione o i serious games, affiancati all'ipnosi.
Co-Founder
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Dottore di ricerca in Psicologia, Psicoterapeuta Sistemico relazionale e Danzaterapeuta.
Dal 2005 insegna presso l'Università degli studi di Pavia, attualmente è professore a contratto di “Psicologia dell'Adolescenza” e “Psicologia Sociale”.
Co-Founder
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Dottore di ricerca in Psicologia, Psicoterapeuta Sistemico relazionale e Danzaterapeuta.
Dal 2005 insegna presso l'Università degli studi di Pavia, attualmente è professore a contratto di “Psicologia dell'Adolescenza” e “Psicologia Sociale”. Presso la stessa Università ha insegnato agli epg “Giftedness: aspetti clinici ed educativi”, “Aspetti emotivi e relazionali dello sviluppo”, “Osservazione ed intervento nei contesti educativi” e ha insegnato a Master e seminari materie relative all'area della psicologia dello sviluppo.
Ha partecipato alla progettazione e all'implementazione di progetti di intervento e ricerca, di carattere nazionale ed internazionale, nell'ambito della prevenzione e della promozione della salute di minori e famiglie, occupandosi anche in modo approfondito dei contesti scolastici.
È autrice di libri e articoli scientifici anche di livello internazionale su argomenti come le la resilienza, le dipendenze patologiche, la plusdotazione, sviluppo dell'identità e nuove tecnologie, bullismo, nonché di lavori metodologici sulla validazione di strumenti di valutazione.
Per molti anni ha collaborato con servizi residenziali per la cura delle dipendenze ed ha lavorato in un servizio ambulatoriale privato accreditato per la cura delle dipendenze patologiche, occupandosi anche dello sviluppo di percorsi di trattamento familiare e di gruppi terapeutici per i familiari.
Attualmente è co-fondatrice di NOAH srl, che ha come oggetto sociale la cura e il benessere delle persone attraverso l'uso di strumenti innovativi affiancati a strumenti tradizionali come la consulenza psicologica e la psicoterapia. È responsabile del progetto ArtemisLab per l'individuazione e il supporto dei soggetti gifted e di talento, e del progetto di sviluppo di un'applicazione per il supporto dei famigliari delle persone dipendenti.
Tutti i nostri progetti si sviluppano all'interno di specifici team di ricerca e sviluppo interdisciplinari, formati da professionisti altamente specializzati (psicologi, psicoterapeuti, artisti, medici, ricercatori, ingegneri, designer), che si impegnano ad integrare le loro conoscenze per creare nuove soluzioni per la promozione della salute e la cura della persona.
Serious games per smettere di fumare
Serious games per smettere di fumare Il fumo da sigaretta è una delle principali cause di problemi di salute nel mondo, con conseguenze che possono portare anche alla morte (World Health Organization, 2018). Anche per questo, da anni la scienza cerca di trovare sempre nuovi metodi innovativi che possano aiutare le persone a smettere di fumare. Di recente, le ricerche si stanno concentrando sullo studio e il coinvolgimento delle nuove tecnologie, che, nella cura della dipendenza da fumo e nicotina, potrebbero giocare un ruolo fondamentale per migliorare la salute di chi fuma. Molte ricerche hanno infatti mostrato come l’utilizzo di applicazioni e videogiochi possa aiutare i fumatori a resistere al craving, spostando, ad esempio, l’attenzione dal desiderio di fumare, al gioco (Schlam & Baker, 2020). Alcuni studi (Stitzer, Rand, Bigelow & Mead, 1986) hanno mostrato che uno dei metodi più efficaci per smettere di fumare è quello di ricevere ricompense (es. economiche, sociali ecc.) in seguito all’astensione (prolungata) dal fumo. I ricercatori Raiff, Fortugno, Scherlis e Rapoza (2018) hanno infatti sviluppato un videogioco che potesse fornire all’utente, in seguito a periodi di astinenza, delle ricompense legate all’esperienza di gioco. Il prototipo “Inspired” (https://games.jmir.org/) da loro creato aveva come obiettivo quello della crescita individuale, possibile grazie all’accumulamento di punti e l’avanzamento dei livelli al casual game. I punti potevano essere accumulati anche tramite periodi di astensione dal fumo e permettevano, oltre a comprare oggetti utili all’avanzamento dei livelli, anche di interagire con altri giocatori. Era infatti possibile per l’utente collegarsi con altri giocatori e vedere i loro periodi di astensione, scrivere loro messaggi motivazionali e di incoraggiamento, e inviare loro regali utili all’avanzamento del gioco, permettendo all’utente di creare una rete sociale di supporto. La particolarità e la novità di questo videogioco consistono infatti proprio nella sua possibilità di ottenere o inviare ricompense sociali legate al gioco con altri giocatori, aumentando la motivazione a smettere di fumare. Gli utenti della versione prova si sono inoltre dichiarati disposti a pagare l’applicazione anche decide o centinaia di dollari (una volta messa in commercio) e di aver preferito questo metodo rispetto agli aiuti che classicamente si adottano per smettere di fumare (es. cerotti alla nicotina). Altri ricercatori hanno invece usato i serious games basandosi sulla teoria dei “Sé possibili” (Markus & Nurius, 1986), vale a dire la modalità con cui gli individui pensano a sé stessi, al loro potenziale e al loro futuro e possono includere i sé temuti e/o i sé desiderati. Questa teoria è basata su studi che hanno dimostrato come individui con una capacità di immaginare il futuro a lungo termine hanno anche meno probabilità di fare uso di sostanze e di essere esposti a malattie (D'Alessio et al., 2003). Anche se il termine "Sé possibili" non è stato specificamente impiegato dai ricercatori nel campo dei giochi educativi, diversi studi hanno già esaminato gli effetti degli avatar come rappresentazioni digitali e visualizzabili dei sé possibili sul comportamento degli individui in ambienti virtuali (Fox e Bailenson, 2009). I risultati hanno rivelato che vedere i possibili Sé, sia quelli desiderati che quelli temuti, portava ad un effettivo cambiamento dei comportamenti. Proprio partendo da questi dati, i ricercatori Song et al. (2013) hanno condotto uno studio con l’obiettivo di valutare se l’osservazione delle conseguenze che il fumo causa sul corpo di un avatar, aumenti anche la percezione del rischio e l'atteggiamento negativo verso il fumo, portando all'intenzione di smettere di fumare. Per farlo, hanno creato un videogioco in cui si permetteva ai partecipanti di creare un avatar con una foto del proprio volto e si offriva loro la possibilità di fumare o resistere alla tentazione del fumo. Se i partecipanti non resistevano alle sigarette, il videogioco modificava il volto del proprio avatar, aumentando le rughe e peggiorando l’aspetto della pelle. I risultati hanno mostrato che coloro che vedevano gli effetti del fumo direttamente sul proprio volto, mostravano una maggiore percezione dei rischi, un atteggiamento più negativo verso il fumo e una maggiore intenzione di smettere di fumare. Nonostante queste nuove tecnologie mostrino ottimi effetti sull’intenzione di smettere di fumare, i videogiochi descritti non sono da intendere come sostituti dei metodi più convenzionali come la farmacoterapia o la psicoterapia; ma più realisticamente potrebbero essere adottati parallelamente a questi, ed essere concepiti come un mezzo aggiuntivo per tutti coloro che desiderano smettere di fumare e vorrebbero una distrazione da quel desiderio. Autori:Bonfiglio Natale Salvatore, Ph.D.Dott.ssa Dilda Martina -D’Alessio, M., Guarino, A., De Pascalis, V., & Zimbardo, P. G. (2003). Testing Zimbardo’s stanford time perspective inventory (STPI) short form: An Italian study. Time & Society, 12, 333–347. http://dx.doi.org/10.1177/0961463X030 122010. -Fox, J., & Bailenson, J. N. (2009). Virtual self-modeling: The effects of vicarious reinforcement and identification on exercise behaviors. Media Psychology, 12, 1–25. http://dx.doi.org/10.1080/15213260802669474. -Markus, H., & Nurius, P. (1986). Possible selves. American Psychologist, 41, 964–969. -Schlam, TR, & Baker, TB (2020). Playing Around with Quitting Smoking: A Randomized Pilot Trial of Mobile Games as a Craving Response Strategy. GAMES FOR HEALTH JOURNAL: Research, Development, and Clinical Applications Volume 9, Number 1. DOI: 10.1089/g4h.2019.0030 -Song, H., Kim, J., Kwon, R.J., Jung, Y. (2013). Anti-smoking educational game using avatars as visualized possible selves. Computers in Human Behavior 29 (2013) 2029–2036. - Stitzer ML, Rand CS, Bigelow GE, Mead AM. Contingent payment procedures for smoking reduction and cessation. J Appl Behav Anal 1986;19(2):197-202 -Raiff, B.R., Fortugno, N., Scherlis, D.R., Rapoza, D. (2018). A Mobile Game to Support Smoking Cessation: Prototype Assessment. JMIR Serious Games 6(2): e11. doi: 10.2196/games.9599 -World Health Organization. 2018 Mar 9. Tobacco URL: http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs339/en/
Leggi tuttoVuoi smettere di fumare? Basta un’APP!
Smettere di fumare è una sfida considerata quasi impossibile dai fumatori, i quali spesso faticano a gestire le voglie ed interrompere la cattiva abitudine. Per questo motivo, i fumatori sono da sempre alla ricerca di strategie che possano aiutarli ad uscire dalla dipendenza da nicotina. Diverse soluzioni si sono rivelate utili ad oggi, come cerotti alla nicotina, sigarette elettroniche o libri motivazionali. Da qualche anno a questa parte però, la ricerca sembra aver ampliato ulteriormente gli studi sui trattamenti per smettere di fumare e una delle strade che sembrano essere più promettenti è quella che vede l’utilizzo di APP per smartphone. In particolare, gli studi si sono concentrati su se e quanto l’utilizzo di videogiochi possa essere utile nella gestione del craving, utilizzando le APP per direzionare l’attenzione verso il gioco nel momento in cui “le voglie” si fanno più intense e difficili da gestire. Proprio con questo obiettivo, Schlam e Baker nel 2020 hanno condotto uno studio con 30 fumatori, assegnando causalmente a metà di loro uno smartphone e dei videogiochi con cui giocare quando sentivano lo stimolo di fumare. Le applicazioni utilizzate nello studio comprendevano diversi tipi di APP come giochi di carte (solitario), giochi di puzzle (es. Cut the Rope) o giochi di parole (Classic Word Plus). I giochi che i partecipanti hanno dichiarato come più efficaci erano quelli che offrivano delle prove abbastanza sfidanti da poterli distrarre dal desiderio di fumare, ma non eccessivamente difficili da creare loro frustrazione e smettere di giocare. Il gioco più utilizzato e apprezzato è stato infatti “Solitario”, uno di quelli ritenuti meno complessi. Sulla base delle risposte che i partecipanti fornivano prima e dopo aver utilizzato i videogiochi, questi sembrano aver avuto un effetto sull’intensità del desiderio di fumare, confermando l’ipotesi per cui i giochi potrebbero offrire degli stimoli per tenere la mente occupata. Anche lo studio di Skorka-Brown (2014) dimostra come per i fumatori, giocare a Tetris per 3 minuti riduceva la forza del desiderio e la vivacità dell'immagine del desiderio. Questo risultato supporta la “Teoria dell'intrusione elaborata” (Kavanagh et al., 2005), secondo la quale le immagini hanno un ruolo centrale nel craving e che lo sviluppo, il mantenimento e l'elaborazione delle immagini del craving richiedono risorse della memoria di lavoro, in particolare della memoria di lavoro visuospaziale. In atre parole, le immagini sensoriali visive emotivamente significative (tipiche dell’esperienza di craving) rappresenterebbero il trigger (cioè la scintilla) all’uso della nicotina, mantenendone vivo il desiderio. Un gioco “visuospaziale” come Tetris ridurrebbe così il desiderio di usare nicotina nel momento in cui il craving è presente. Nella ricerca di Schlam e Baker (2020) inoltre, i partecipanti hanno mostrato anche un risultato inaspettato, essi infatti hanno utilizzato i videogiochi solo per la prima delle quattro settimane previste nell’esperimento, nonostante avessero dichiarato che questi li aiutassero a diminuire il desiderio. I partecipanti infatti hanno avuto un deciso calo della frequenza di utilizzo delle APP, scaricando sullo Smartphone anche videogiochi esterni, non previsti dall’esperimento. Sono state formulate due spiegazioni per questo risultato, la prima riguarda l’idea per cui i giochi proposti non fossero abbastanza interessanti per i partecipanti. La seconda, invece, ipotizza che le domande a cui erano stati sottoposti li avesse infastiditi a lungo andare (esempio le domande sulla frequenza di utilizzo dell’applicazione, sull’intensità del desiderio di fumare ecc.). Infine, le persone più appassionate ai videogiochi erano state escluse dall’esperimento e questo potrebbe aver influenzato i risultati. Nonostante il campione di questo esperimento pilota fosse molto piccolo e i dati vadano analizzati con cautela, complessivamente i risultati sembrano dare buone speranze, incoraggiando esplorazioni future più approfondite sull’utilizzo di videogiochi come strategia di gestione del craving da nicotina. Autori: Bonfiglio Natale Salvatore, Ph.D. Dott.ssa Dilda Martina Bibliografia -Kavanagh, D. J., Andrade, J., & May, J. (2005). Imaginary relish and exquisite torture: The Elaborated Intrusion theory of desire. Psychological Review, 112, 446-467. -Schlam, TR, & Baker, TB (2020). Playing Around with Quitting Smoking: A Randomized Pilot Trial of Mobile Games as a Craving Response Strategy. GAMES FOR HEALTH JOURNAL: Research, Development, and Clinical Applications Volume 9, Number 1. DOI: 10.1089/g4h.2019.0030 -Skorka-Brown, J., Andrade, J. & May, J. (2014). Playing 'Tetris' reduces the strength, frequency and vividness of naturally occurring cravings. Appetite, 76, 161-165. http://dx.doi.org/10.1016/j.appet.2014.01.073
Leggi tuttoSetting virtuali: i più adatti per inibire la paura di mettersi alla guida
Tecnicamente la paura di guidare si definisce amaxofobia (da greco amaxos, che vuol dire “carro”) e colpisce circa il 7% della popolazione. È una fobia specifica e le persone che soffrono di un disturbo d’ansia quale la fobia specifica hanno livelli di vigilanza e attenzione superiore ai soggetti sani (White et al. 2009). Sono predisposti a porre una grande attenzione a tutti gli elementi e agli attori che interagiscono in un contesto o situazione. Nelle fobie situazionali, come la paura di guidare, l’oggetto fobico è in realtà complesso e imprevedibile, in quanto le proprietà della strada, il traffico, il tipo di veicolo, gli agenti atmosferici sono mutevoli. Essendo lo scenario così mutevole e dinamico, l’attenzione e il sistema di vigilanza sono continuamente richiamati da stimoli ritenuti minacciosi. Ciò stimola e mantiene attivo il sistema di attenzione e vigilanza. La paura di guidare è piuttosto comune ed assume caratteristiche particolari che variano da persona a persona, sia per l’esordio, che per il numero e tipo di situazioni temute. L’esordio della paura può variare. C’è chi ha sempre temuto l’idea di mettersi alla guida, e allora non ha mai neanche provato, c’è chi ha tentato, senza però riuscire a contenere l’ansia, e chi ha smesso di guidare a seguito di incidenti o esperienze traumatiche. Le situazioni più comunemente temute riguardano gli orari di punta, il traffico, le autostrade, le svolte a sinistra, le immissioni. C’è chi ha paura a sorpassare, a guidare in montagna (tra salite e discese), e c’è chi evita i parcheggi in serie. Altri ancora guidano regolarmente ma temono la neve, la pioggia o la nebbia (Costa et al., 2018). Per superare una paura come quella di guidare, bisogna essere disposti ad esporsi al rischio. È quanto è stato spiegato nel recente articolo di Costa e colleghi (2018) che descrive il paradigma alla base del trattamento tradizionale delle fobie, ovvero il paradigma di esposizione al rischio. L’efficacia di una terapia di esposizione, non è l’assenza di paura, ma l’aumentata capacità di inibire la risposta emotiva (Craske et al., 2008). Ciò che si elimina non è la paura ma l’automatismo dell’associazione tra oggetto fobico e paura. Un modo per applicare questo paradigma è l’uso della realtà virtuale (VR), che sta dando prova di essere uno strumento capace di migliorare la qualità della vita delle persone, dando modo di affrontare le proprie paure. L’efficacia della realtà virtuale è riconosciuta a livello sperimentale (Costa et al. 2018; Wald & Taylor 2000). È stato infatti dimostrato che i setting virtuali risultano sufficienti ad innescare la reazione di ansia e agitazione controllata nelle persone con fobie specifiche (Mühlberger et al. 2007). Ciò significa che la realtà virtuale, che non è equiparabile alle situazioni reali, lascia un margine di libertà adeguato per poter mettere in pratica delle strategie per fronteggiare la paura. La VR permette di controllare tutte le possibili condizioni di guida, compreso il meteo e il traffico, ed è quindi uno strumento ideale per apprendere e fare proprie le strategie di rilassamento che hanno lo scopo di spostare l’attenzione dallo stimolo fobico e allenare la persona a controllare e modulare la propria risposta emotiva nelle varie situazioni temute. Il vantaggio è proprio la possibilità di scegliere a quali e quante situazioni esporsi, predisponendo una gradualità modulabile e una personalizzazione ad hoc per ogni caso. Di fatto, la paura è una funzione essenziale per tutti gli esseri viventi, poiché il sistema di vigilanza e attenzione è sempre portato ad identificare il rischio. È però possibile, attraverso tecniche di rilassamento, imparare una nuova risposta emotiva e comportamentale da sostituire allo stato di paura. In questo modo si inibisce e si interrompe la crisi di ansia o l’attivazione emotiva della paura in favore di un comportamento più rilassato, avendo la consapevolezza che la paura non è scatenata da un rischio effettivo e reale per la propria sicurezza. In questo senso, apprendere e applicare alcune strategie (che sono finalizzate al controllo emotivo e alla regolazione del comportamento), permette di avviare quindi il processo di inibizione della paura, che può essere difficoltoso in situazioni reali. Questa è la ragione per cui spesso le terapie classiche si interrompono nella sua fase iniziale. Infatti, circa il 60% delle persone che hanno paura di guidare rifiutano - a prescindere - un trattamento se prevede l’esposizione alla situazione scatenante (Costa et al. 2018). L’uso della realtà virtuale può sicuramente aiutare le persone ad approcciare diversamente il problema e a ridurre i rischi di drop-out. È possibile, quindi, migliorare la qualità della vita delle persone con la fobia di guidare, che spesso si vedono costrette ad evitare certe situazioni, limitando l’indipendenza e la socialità. Riferimenti Craske, M. G., Kircanski, K., Zelikowsky, M., Mystkowski, J., Chowdhury, N., & Baker, A. (2008). Optimizing inhibitory learning during exposure therapy. Behaviour Research and Therapy, 46(1), 5–27. https://doi.org/10.1016/j.brat.2007.10.003 Costa, R. T. D., Carvalho, M. R. D., Ribeiro, P., & Nardi, A. E. (2018). Virtual reality exposure therapy for fear of driving: analysis of clinical characteristics, physiological response, and sense of presence. Revista brasileira de psiquiatria, (AHEAD), 0-0. Mühlberger, A., Bülthoff, H. H., Wiedemann, G., & Pauli, P. (2007). Virtual reality for the psychophysiological assessment of phobic fear: responses during virtual tunnel driving. Psychological assessment, 19(3), 340. Wald, J., & Taylor, S. (2000). Efficacy of virtual reality exposure therapy to treat driving phobia: a case report. Journal of behavior therapy and experimental psychiatry, 31(3-4), 249-257. White, L., Helfinstein, S., Reeb-Sutherland, B., Degnan, K., & Fox, N. (2009). Role of Attention in the Regulation of Fear and Anxiety. Developmental neuroscience, 31, 309–317. https://doi.org/10.1159/000216542
Leggi tuttoLa fobia delle siringhe: superiamola con la realtà virtuale
L’emergenza Covid ci ha costretto a cambiare molte delle nostre abitudini di vita ma la possibilità di uscire gradualmente e definitivamente dalla pandemia, e riprendere la nostra vita come prima, è sempre più concreta e realizzabile grazie alla possibilità di vaccinarsi. Purtroppo per alcune persone vaccinarsi potrebbe essere un problema a causa della loro paura per le siringhe. Esiste infatti una vera e propria fobia degli aghi chiamata belonefobia, in inglese blood-injection-injury phobia. Si tratta di una paura patologica piuttosto comune nei confronti di aghi, iniezioni, sangue e ferite che può provocare ansia, attacchi di panico, svenimenti, mancanza di respiro e tachicardia. Ne deriva che anche un’azione semplice come un banale esame del sangue o, appunto, una vaccinazione possono causare un forte disagio e possono rappresentare un ostacolo insormontabile per le persone che soffrono di questa fobia. Nella situazione di emergenza in cui stiamo vivendo da oltre un anno a causa del Covid questa paura incontrollabile di aghi e siringhe diventa per molti un serio ostacolo alla vaccinazione e quindi allontana la possibilità di proteggersi dalle conseguenze del virus. Questa, come molte altre fobie che influenzano negativamente la nostra vita, può essere superata con successo e in tempi relativamente brevi con il supporto di un aiuto specialistico e con soluzioni terapeutiche innovative. In particolare le nuove tecnologie possono aiutare ad affrontare efficacemente questa fobia attraverso protocolli che utilizzano scenari di realtà virtuale e tecniche di rilassamento abbinati. Alcuni di questi scenari sono stati messi a punto da psicologi esperti del team PSIOUS (www.psious.com) e vengono utilizzati con successo dal nostro team di specialisti da diverso tempo. Gli scenari sono stati costruiti su basi scientifiche, così come i protocolli di trattamento, ed hanno la caratteristica di poter essere usati anche a distanza oltre che in presenza, attraverso l'utilizzo di un visore di realtà virtuale o, in alternativa, di uno smartphone. Tramite questi device, e sotto la guida in uno specialista esperto, sarà definitivamente possibile affrontare questa paura in modo efficace e attraverso alcuni incontri, abbassare la propria ansia e superare la paura delle iniezioni, del sangue e delle ferite. Per maggiori informazioni contattaci [email protected]
Leggi tuttoFamiglia e dipendenza: prendersi cura di chi si prende cura
Di Roberta Renati Ph.D Psicologa-Psicoterapeuta Specializzata nel supporto dei famigliari di persone dipendenti La dipendenza è una malattia, un disturbo cerebrale prodotto da una complessa interrelazione di fattori biologici e contestuali. A differenza di altre malattie, in cui la persona è consapevole di essere malata e accetta la malattia, va dal dottore e, anche a malincuore, segue una specifica cura per stare meglio, l’essenza della dipendenza è che tipicamente la persona che ne soffre nega la malattia, non ne è consapevole, minimizza il problema. Le persone che soffrono di dipendenza investono tantissime energie nel nascondere a sé stessi e agli altri che hanno un problema e che non riescono a gestirlo; questa negazione della malattia li porta a dire che “questa è l’ultima volta”… “ce la farò da solo/a”, ma con il passare del tempo è chiaro che non ci riescono, la situazione non fa che peggiorare, si attiva una spirale perversa che intacca, spesso in modo drammatico, tutte le aree di vita del soggetto. Nella maggioranza delle situazioni sono i famigliari e gli amici più intimi a sostenere la persona che ha la dipendenza nel cercare aiuto. In particolare, sono i familiari, soprattutto se la persona cara che soffre di dipendenza vive con loro, i primi a rispondere a questa drammatica emergenza, e spesso non sanno come fare. Sono loro che sono in prima linea e che vengono travolti dalle intense ondate emotive legate alle reazioni della persona cara e, al tempo stesso dei propri sentimenti, spesso contrastanti. In generale è stata data poca attenzione a quel che accade nel contesto domestico, dove i famigliari giocano ogni giorno la partita nel cercare di mantenere la vicinanza con la persona cara che soffre di dipendenza e persuaderla a cercare aiuto. La dipendenza è quindi una patologia che mina e colpisce non solo la persona dipendente, ma anche la sua sfera relazionale e famigliare, e, primi fra tutti, coloro che se ne prendono cura, i caregiver. Il caregiver di una persona dipendente è il famigliare o una persona cara coinvolta e spesso responsabile della cura, dei trattamenti e del sostegno della persona dipendente, nonché del suo sostegno morale ed emotivo. Il caregiver fornisce costantemente vicinanza e supporto, ed è attivamente coinvolto nelle varie fasi di vita e di riabilitazione del famigliare. La sua delicata posizione lo espone quindi a situazioni che possono essere estremamente stressanti, che possono avere ripercussioni sul suo benessere psicofisico personale. Le attività di care (prendersi cura) hanno inevitabilmente delle influenze sullo stato di salute, relazionale, sociale, emotivo ed economico del caregiver. In letteratura, l’insieme di tali ripercussioni viene descritto con il termine burden (letteralmente, “fardello”), e può riguardare differenti dimensioni: si parla di burden fisico quando si intende definire la compromissione della salute del caregiver sul piano corporeo (come disturbi del sonno, alterazioni di pressione arteriosa e cardiaca, ulcere..); di burden emotivo, per indicare il peso legato soprattutto ai sentimenti di frustrazione, rabbia e vergogna che spesso li avviliscono; e di burden sociale, riferendosi all’isolamento e alla trascuratezza delle attività che i caregiver erano soliti fare e a cui sentono di non potersi più dedicare come vorrebbero, quali , per esempio, lavoro, amicizie, rapporti e hobby. La dipendenza quindi, nelle sue varie configurazioni e sfumature, non intacca solamente la sfera individuale, ma contamina necessariamente anche il contesto famigliare di cui l’individuo fa parte, sovraccaricandolo. Insieme al senso di sovraccarico generale, il caregiver sperimenta spesso forti sensi di inadeguatezza, che trovano espressione in altri vissuti, quali smarrimento, rabbia, frustrazione, solitudine, disagio relazionale e senso di abbandono, ma anche timore e angoscia per il futuro. Tali vissuti derivano anche dalla percezione di non potersi assentare, ammalare o dedicare ad altro, sentendosi quasi in dovere e costretti ad investire sé stessi, costantemente, nel sostegno e nella cura del proprio caro. La letteratura clinica ci dice che l’impatto che la dipendenza ha sulla famiglia può variare in base al ruolo che la persona dipendente ha all’interno del sistema familiare: per esempio, la dipendenza di un figlio avrà un effetto diverso sul contesto familiare rispetto a quella che potrebbe avere la dipendenza di un padre. Inoltre, l’esperienza e il peso del prendersi cura non variano solo tra i diversi ruoli famigliari, ma sono soggetti anche a fattori economici, sociali e culturali. Ciononostante, è possibile individuare un pattern di elementi, esperienze e vissuti comuni, che solitamente accompagnano il caregiver, come: preoccupazioni per la famiglia ed il futuro; mancanza di adeguate e accurate informazioni sulla dipendenza; situazioni stressanti, stremanti e di difficile gestione; problemi di salute fisica, con elevati livelli di stress e stanchezza; e barriere, che ostacolano la fruizione di un supporto affidabile ed equilibrato. Sono molti quindi gli effetti negativi che si ripercuotono sul caregiver: solitudine, isolamento, stanchezza, insofferenza, ansia, depressione, ma anche sentimenti di colpa, apprensione, preoccupazione, confusione, e nelle situazioni più compromesse anche pensieri suicidari. Gli effetti negativi si verificano anche sulle relazioni, in particolare quelle con il famigliare dipendente, ma non solo: prendono vita problemi lavorativi, che contribuiscono a causare difficoltà finanziarie ed economiche; una vita sociale ristretta e limitata; un uso distorto e potenzialmente sproporzionato di farmaci e altri prodotti, come cibo, alcol e tabacco. Inoltre, il disagio si estende anche all’intero sistema famigliare, compromettendo routine, ruoli ed equilibri: l’abituale vita famigliare diviene limitata e ristretta, poiché lo spettro della dipendenza affligge anche eventi di vita comune, riducendo così il benessere della vita quotidiana. I caregiver si sentono messi in difficoltà anche dallo stigma sociale che percepiscono e a cui sono sottoposti: i pregiudizi e la disapprovazione sociale collegati alla dipendenza del famigliare generano sentimenti di vergogna ed imbarazzo. Infatti, rispetto ad altre patologie, i famigliari di persone dipendenti risultano essere più duramente giudicate e stigmatizzate, poiché spesso viene loro attribuito un ruolo non solo nell’insorgenza della malattia, ma anche nelle ricadute. Il timore dello stigma e del giudizio può portare i caregiver ad auto-isolarsi dal contesto sociale in cui sono inseriti, cercando di nascondere agli occhi degli altri la dipendenza del proprio caro e le ripercussioni che essa ha sulla loro vita. Il timore di esporsi, di essere giudicati e la paura di aprirsi per timore di essere feriti ed etichettati è comune tra i caregiver. Tutto ciò non fa altro che contribuire alla cristallizzazione della sofferenza e ad acuire l’isolamento sociale, aspetti che incidono fortemente sul benessere emotivo. Infatti, il ritiro sociale e la conseguente riduzione delle attività interpersonali di svago riducono la percezione di una buona qualità di vita, predisponendo a sintomi e spunti depressivi. Uno degli aspetti sicuramente più danneggiati è quindi il network sociale, principalmente a causa delle mancanze di svago, di tempo libero da dedicare a sé stessi e ai cambiamenti delle routine famigliari. L’importanza di creare e mantenere relazioni positive e un supporto sociale è quindi fondamentale, soprattutto perché contribuiscono alla percezione di una qualità di vita migliore. La sofferenza dei caregiver è poi amplificata dai sentimenti di frustrazione, di colpa e di inadeguatezza: spesso, infatti, i caregiver si sentono impotenti davanti alla dipendenza, che faticano a codificare come una vera e propria patologia. I bisogni dei caregiver si configurano quindi a partire da mancanze: si sentono manchevoli di un reale supporto, che li aiuti a fronteggiare in modo corretto e funzionale la dipendenza in cui sono coinvolti e da cui sono stravolti. È perciò fondamentale per loro avere accesso a conoscenze e informazioni chiare, precise e specifiche sulla dipendenza e sui trattamenti, aspetti che li possono aiutare a riconoscere la malattia, e a identificarne i tratti e i segnali. Inoltre, i caregiver necessitano di informazioni su servizi specifici a loro dedicati: oltre ad un accesso rapido e tempestivo a informazioni concrete, è per loro fondamentale ricevere una forma di supporto valida, affidabile e facilmente accessibile, che permetta loro di fronteggiare le difficoltà, promuovendo strategie di gestione della situazione più funzionali, utili anche a promuovere il loro benessere psico-fisico. È per loro fondamentale adottare strategie utili a ridurre i loro livelli di stress, cercando di focalizzarsi sugli aspetti positivi della propria vita. È fondamentale a fornire ai caregiver strumenti utili e funzionali ad acquisire conoscenze e consapevolezza non solo sulla condizione del proprio famigliare, ma anche, e soprattutto, sul proprio sovraccarico e sul proprio benessere, che dev’essere promosso e salvaguardato. Abbiamo attivo un servizio specializzato dedicato ai famigliari delle persone con dipendenza, a cui è possibile accedere sia in presenza che da remoto. Da anni è attivo il gruppo di supporto per famigliari “PIT-STOP”, orientato alla promozione delle risorse resilienti. Per informazioni [email protected]
Leggi tuttoVirtual reality: una frontiera sicura per l’intervento sulla fobia dei cani
L’apprendimento della paura, secondo l’approccio comportamentista, può avvenire per condizionamento diretto, a seguito di una situazione negativa vissuta in prima persona, o per condizionamento vicario, per aver assistito cioè ad un’esperienza negativa vissuta da altri. La letteratura parla in questo caso di meccanismo di fear conditioning, in riferimento all’acquisizione di una fobia, e di fear extinction, riguardo all’estinzione della stessa. Nella vita di tutti i giorni, una persona fobica mette in atto e organizza la propria quotidianità nell’ottica di evitare ad ogni costo l’oggetto fobico. La reazione emotiva di terrore e panico è automatica e appresa, ed è sempre immediata alla vista dell’oggetto fobico. Una qualunque analisi contestuale e situazionale dei rischi e dei pericoli effettivi è impossibile per chi soffre di una fobia. Ad esempio, un cane può inseguire o correre incontro ad una persona per aggredire o per giocare. Il comportamento del cane, la posizione di orecchie, coda, e il tipo di verso sono indicatori sufficienti per capire se le intenzioni del cane siano benevole o meno. La persona che però ha la fobia dei cani, non ha il tempo di osservare questi elementi, perché non ha controllo sulla manifestazione della paura. Fra le varie fobie, quella dei cani è più comune di quanto si pensi e nella maggior parte dei casi si sviluppa nell’infanzia. Rientra nel quadro delle fobie specifiche, ovvero i sintomi di ansia e di panico si manifestano solo alla presenza dell’oggetto della paura. Secondo il DSM 5 (Manuale Diagnostico E Statistico Dei Disturbi Mentali), la reazione di paura alla presenza di un cane è smisurata rispetto alla presenza oggettiva di un pericolo, ed è fuori dal controllo volontario. Le strategie di coping adottate in questi casi per affrontare una fobia, sono la fuga - nell’immediato - e in generale l’evitamento delle situazioni nelle quali possa presentarsi un cane. Nella vita di tutti i giorni, quindi, la persona con una fobia per i cani tende ad organizzare e condizionare la propria vita con l’obiettivo di evitare il più possibile l’esposizione all’animale temuto. La paura, però, così come viene appresa, può essere “disappresa” cioè estinta; ad esempio esponendosi alla fonte della paura un numero sufficiente di volte, e imparando a mettere in pratica tecniche di rilassamento e sovrascrivendo lo script comportamentale di agitazione, fuga ed evitamento, tipico nella fobia (desensibilizzazione sistematica). Questo può avvenire in contesti sicuri e con la guida di un terapeuta, come avviene nel paradigma dell’esposizione al rischio. Queste terapie, nella loro accezione tradizionale, prevedono diverse fasi e gradi di esposizione. Inizialmente vengono insegnate le tecniche di rilassamento muscolare o meditazione. Nel frattempo, si conosce il paziente e si individuano le varie situazioni temute e oggetto di evitamento, in modo da affrontarle gradualmente. Le esposizioni possono avvenire in vivo, oppure rievocando immagini e scenari mentali in cui si manifesta la fobia. Una soluzione tecnologicamente innovativa risiede nell’uso della virtual reality (VR). Grazie alla VR è possibile intervenire sui pazienti a prescindere dalla severità dei sintomi. La terapia dell’esposizione al rischio è riconosciuta ed efficace, ed è stata anche osservata una maggiore attività cerebrale nella regione prefrontale ventro-mediale della corteccia cerebrale durante l’esposizione a situazioni di rischio, che indica che nuove associazioni sono consolidate ed archiviate nella memoria, con una minor attività dell’amigdala, legata alla rappresentazione della paura. Questo pattern di attività cerebrale descrive bene il processo di fear extinction. Nel caso della fobia dei cani, l’efficacia della terapia di esposizione è di circa il 75%. Nella pratica, il terapeuta ha il controllo sulle possibili variabili che possono far aumentare e decrescere la paura. Nel caso della fobia dei cani, il terapeuta può decidere se e quanto far abbaiare il cane, può deciderne la razza e la dimensione e anche far sì che sia legato al guinzaglio o meno. Inoltre, Il controllo e la prevedibilità dei fenomeni negli ambienti virtuali facilita il lavoro terapeutico perché permette di ricreare con più facilità – e quindi intensificare l’intervento - nelle situazioni che risultano essere più critiche e nelle situazioni che creano più ansia e nelle quali è più difficile controllare la paura. Allo stesso tempo si può garantire il senso di autoefficacia del paziente, mantenendo un livello di motivazione sufficiente ad impegnarsi con costanza fino alla conclusione della terapia. Sempre più ricerche stanno dimostrano come gli effetti tra la terapia tradizionale e quella con la realtà virtuale siano analoghi e comparabili. Inoltre, come illustrato da Riva e colleghi, quando siamo immersi in un ambiente virtuale, manteniamo l’immagine che abbiamo del nostro corpo nello spazio. Il nostro corpo è quasi ingannato dalla VR, poiché gli schemi motori e comportamentali che vengono messi in atto sono i medesimi che vengono applicati nella realtà. I cambiamenti e gli apprendimenti avvenuti grazie alla realtà virtuale sono trasferiti e generalizzati perché si interviene modificando anche schemi motori (palpitazione, tensione muscolare) e la rappresentazione del nostro corpo nello spazio. Infine, grazie all’implementazione sensoriale, è possibile integrare stimoli multisensoriali e usare, oltre a vista e udito, anche informazioni tattili nell’esplorare gli ambienti virtuali. Avvalendosi di tutti i sensi durante le esperienze negli ambienti virtuali, la distanza tra il modo fisico e quello virtuale potrà ridursi ancora, e gli interventi saranno più efficaci. Riferimenti Ball, T. M., Knapp, S. E., Paulus, M. P., & Stein, M. B. (2017). Brain activation during fear extinction predicts exposure success. Depression & Anxiety (1091-4269), 34(3), 257–266. https://doi.org/10.1002/da.22583 Carlin, A. S., Hoffman, H. G., & Weghorst, S. (1997). Virtual reality and tactile augmentation in the treatment of spider phobia: A case report. Behaviour Research and Therapy, 35(2), 153–158. https://doi.org/10.1016/S0005-7967(96)00085-X Hoffmann, W. A., & Human, L. H. (2003). Experiences, characteristics and treatment of women suffering from dog phobia. Anthrozoös, 16(1), 28-42. Riva, G., Wiederhold, B. K., & Mantovani, F. (2018). Neuroscience of Virtual Reality: From Virtual Exposure to Embodied Medicine. Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking, 22(1), 82–96. https://doi.org/10.1089/cyber.2017.29099.gri
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